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German Sadulaev |
Vita a Capri |
«Da quando ho conosciuto Naomi, le donne terrene hanno perso ogni attrattiva per me.»
Nella sala d’attesa dell’aeroporto di una capitale europea, pulito, liscio, grigio, anzi di una brillantezza addirittura azzurra, regolato come un orologio, perfetto come l’anticamera del paradiso, sedevano due uomini: un vecchio e un giovane. Sedevano al tavolino di un bar della zona partenze, e davanti a loro c’erano due tazze con qualcosa di simile al caffè: una di quelle ordinazioni formali che si fanno per levarsi di torno il cameriere e poter parlare in pace. Parlava il vecchio, il giovane ascoltava.
Il vecchio dimostrava quarant’anni abbondanti. Portava pantaloni blu di taglio disinvolto e una polo bianca negligentemente sbottonata. Teneva le gambe accavallate, mettendo in mostra delle morbide scarpe viola, leggermente logore o artificialmente invecchiate: ci sono modelli di scarpe che si fanno apposta così, perché sia impossibile determinarne l’età. L’uomo stesso era parecchio logorato, e all’apparenza in modo assolutamente naturale: dallo scorrere degli anni. Particolarmente vissuta appariva la sua faccia, bruciata dal sole mediterraneo, adorna di rughe e cicatrici appena visibili sulla fronte. Sul mento aveva una barba di tre giorni, o forse di una settimana, ma accuratamente accorciata secondo lo standard dei tre giorni. Nel complesso, aveva l’aspetto di un esperto velista. O di un uomo che si sforza di avere l’aspetto di un esperto velista, e ci riesce.
Il giovane aveva a malapena trent’anni. Portava un completo, italiano o giù di lì, camicia chiara a righine sottili, con il polsino che sporgeva di due dita dalla manica della giacca, la cravatta di un tono più vivace del completo, scarpe nere. Il primo bottone della camicia era slacciato, e il nodo della cravatta allentato. Il giovane aveva guance un po’ pienotte, naturalmente rosee, le labbra del colore di una visciola non ancora matura erano tumide, ma non troppo, e il collo era bianco come il latte.
Il vecchio si distingueva per il naso largo, le labbra strette e una complessiva sproporzione nei lineamenti del viso. Lo si sarebbe potuto definire brutto, se non fosse stato per gli occhi. Gli occhi erano grandi e languidi, quasi velati. Di occhi simili si dice: tristi e intelligenti come quelli di un cane. Ci sono donne che s’innamorano solo di occhi così, senza badare al resto dell’aspetto. Probabilmente hanno la sensazione che occhi così non possano appartenere a un uomo cinico e calcolatore, ma testimonino, al contrario, di unа fine sensibilità. A quanto pare si tratta di una particolare struttura della retina.
Il giovane era esteriormente gradevole, simpatico, ma senza quell’eccessiva sdolcinatezza che agli uomini nuoce soltanto. La sua non era una bellezza fine, perfetta, ma quella semplice e naturale della freschezza e della salute. Solo gli occhi erano infossati e un po’ piccoli, il che creava l’impressione di una natura unidimensionale, impressione del resto quasi sempre ingannevole.
È difficile dire che cosa poteva unire i due uomini. Improbabile che si trattasse di un casuale incontro all’aeroporto. Non somigliavano neppure a due parenti o amici di vecchia data, ormai abituati l’uno all’altro. Si può supporre che fra loro ci fossero rapporti di lavoro e che il vecchio, dei due, fosse il socio in affari più importante; e non necessariamente per l’entità del pacchetto azionario, anzi forse perfino a dispetto dell’entità del pacchetto azionario, ma piuttosto per l’età, l’esperienza e le doti personali. Talvolta in una situazione del genere il più anziano diventa non solo negli affari, ma anche nella vita il benevolo mentore del più giovane.
Il giovane appariva un po’ spaesato e abbattuto, come per qualche scombussolamento personale, comune alla sua età: un amore infelice o altre vicissitudini romantiche. Il vecchio invece raccontava al giovane una storia tratta dalla sua esperienza personale, oppure spacciata per tale ma inventata: raccontava a scopo didattico e a mo’ di amichevole psicoterapia. Proprio al vecchio si doveva quella prima, strana frase. E tutta la successiva narrazione. |