1. NELLE TENEBRE

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«Mentre navigavo verso il cancello, provai all’improvviso la trafittura di uno strano senso di spaesamento, come quando appena sveglio, in viaggio, non sai più dove ti trovi. Come se fossi stato trasportato su un altro pianeta: un suono trasparente nelle orecchie, nell’aria una luce grigia e odore d’aceto. Le creature del luogo si riparavano dall’umidità in cubici involucri lignei, attraverso un tubo sulla sommità usciva il fumo della vita che si svolgeva al loro interno, nelle orbite coppie di vasi di fiori fissavano attraverso lo specchio d’acqua i propri vis-à-vis e gli steccati color delle schegge, con resti di scritte oscene tracciate col gesso: sembravano lettere latine: una “x”, una “y”...»
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Così comincia Rivelazione, uno dei più strani racconti di Simeon Milaševič, all’affascinante destino del quale Anton Andreevič Lizavin aveva dedicato le più appassionate pagine della sua tesi di dottorato sugli scrittori degli anni ’20 suoi conterranei. Quel racconto a dire il vero rappresentava solo un prologo all’argomento: infatti era apparso già nel 1912, nel primo e unico numero dell’almanacco pietroburghese Lontananze, ma poiché spiega molto di quel che sarebbe accaduto in seguito, conviene anche a noi prendere le mosse da qui. Gli episodi frammentari non vi sono legati da passaggi e spiegazioni, e il lettore un po’ smarrito capisce solo più tardi per quali deliranti acque il narratore navighi verso la sua dimora, quasi su un canale veneziano. Si tratta in realtà soltanto di una pozzanghera che si allargava in primavera e in autunno nella città di Stolbenec, più in basso del mercato coperto, alla confluenza fra le vie Lebedjanskaja, Psarevskaja e Soldatskaja, arrivando a lambire gli steccati e coprendo le passerelle per i pedoni. La pozzanghera non si prosciugava completamente nemmeno in estate, sembrava una componente eterna e naturale del paesaggio, come il vicino lago di Stolbenec, e Milaševič, in un altro racconto, considera l’ipotesi che un tempo la pozzanghera formasse un tutto unico con il lago, da cui si sarebbe separata solo in seguito a un processo geologico. Durante la piena, per raggiungere le gallerie della piazza del Mercato bisognava fare un lungo giro attraverso la Collina dei semplici, finché un gruppo di ragazzini intraprendenti non aveva costruito una zattera per traghettare al prezzo di cinque copechi chiunque ne avesse bisogno. La descrizione umoristica della traversata è stata pubblicata da Milaševič in una rivista del capoluogo, Il grillo, e in Rivelazione c’è un bambino con una pertica nascosto alle spalle del protagonista.
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La trafittura e l’inafferrabile inquietudine, quasi un presentimento, ricevono una spiegazione nell’episodio successivo: il narratore, arrivato a casa, trova un ospite inatteso, un amico di gioventù, un compagno di università di passaggio a Stolbenec, che ora sta bevendo il tè nel suo salotto. Sulla piccola ottomana nell’angolo, con le gambe ripiegate sotto di sé e le spalle infreddolite avvolte in uno scialle rumeno di lana marrone, sta seduta in silenzio Šuročka, la moglie del padrone di casa. L’ospite non è presentato con il suo nome ma con il soprannome studentesco di Ahasvero, che peraltro si può considerare anche uno pseudonimo clandestino. (Volto sottile e ironico, taglio nervoso delle narici, un lampo eccitato negli occhi, la barba lunga per il viaggio.) In base ad alcuni accenni Lizavin suppone che stia cercando di raggiungere la stazione di Stolbenec da qualche remoto luogo di confino. Ai piedi della sua sedia c’è un bauletto così prezioso che non si è neppure fidato a lasciarlo in anticamera.